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Meraviglie letterarie in Val di Noto


Di Ibla, Modica, Scicli e dell'intera Val di Noto non rimasero che macerie dopo il sisma del 1693 e quasi 60.000 vittime. Ma i Siciliani, caparbi, fanno rivivere quei luoghi di una nuova eccezionale bellezza tanto che nel 2002 sono dichiarati patrimonio dell'Unesco. Se volete vivere questi luoghi, passeggiare tra vicoletti silenziosi, attraversare piazze che si affacciano sul mare per scoprire porticcioli da set cinematografico, in cui si fondono e si combinano arte e natura siete nel posto giusto. Potreste atterrare all'aeroporto "Pio La Torre" di Comiso per visitare le città della provincia di Ragusa e poi di Catania, da cui poi potreste ripartire dal "Fontanarossa". O, se preferite, fare, come nel nostro caso, il percorso inverso.

La prima meraviglia che atterrando vedrete è "tutto ciò che la natura ha di grande, tutto ciò che ha di piacevole, tutto ciò che ha di terribile": l'Etna con il suo profondo cratere nero, un luogo dove mito, natura e culti antichi si fondono. Pindaro la canta così:

"L'Etna nevoso, colonna del cielo
d'acuto gelo perenne nutrice;
mugghiano dai suoi recessi
fonti purissime d'orrido fuoco,
fiumi nel giorno riservano
corrente fulva di fumo
e nella notte ròtola
rocce portando alla discesa
profonda del mare, con fragore".

L'amore per Catania e i suoi luoghi trova spazio nell'animo passionale di Goliarda Sapienza. In Io, Jean Gabin, scrive: "Mi trovo nella piazza del Duomo sterminata nel sole di mezzogiorno che dritto picchia le sue saette rossigne sul dorso di lava del monumento all'Elefantino; mi piace quell'Elefantino sempre sonnacchioso e indifferente sia al traffico infernale del giorno sia alla quiete paurosa della notte".

Noto è la perla del Barocco perché in questa città si esprime con prepotenza nei mascheroni che esorcizzano la paura per i terremoti e nelle architetture fra cui spiccano Palazzo Nicolaci, la chiesa di Santa Chiara con il convento delle Benedettine e la superba Cattedrale Di San Nicolò. E se siete amanti della natura non potete non visitare la riserva di Vendicari con le meravigliose spiagge di Calamosche, Eloro, Marianelli, della Tonnara e della Torre Sveva. Non a caso anche Bufalino consiglia: "Andate a Noto, datemi retta...questo è un luogo che, se uno ci capita resta intrappolato e felice, chi lo muove più".

Spostandoci più a ovest troviamo Ragusa con le sue viuzze, i suoi livelli, da cui tra maschere e ringhiere barocche si arriva iusu cioè ad Ibla, la Ragusa inferiore. Ma a questo punto del nostro viaggio bisogna essere coscienti che, come scrive Bufalino "ci vuole una certa qualità d'anima, il gusto per i tufi silenziosi e ardenti, i vicoli ciechi, le giravolte inutili, le persiane sigillate su uno sguardo nero che spia; ma anche si pretende la passione per le macchinazioni architettoniche, dove la foga delle forme in volo nasconde fino all'ultimo il colpo di scena della prospettiva bugiarda." Se ritenete di esserne dotati possiamo andare a scoprire questa Sicilia nota al grande pubblico per essere set di Montalbano, magari dal 13 al 16 giugno quando si terrà la X edizione di A tutto volume - Libri in Festa per un weekend tra libri e Barocco con gli scrittori più amati e lettori appassionati. Quattro guest director, Loredana Lupperini, Massimo Cirri, Antonio Pascale e Telmo Pievani, condurranno alcuni degli incontri della rassegna; anche quest'anno l'organizzatore, Alessandro Di Salvo ideatore e promotore della manifestazione assieme alla Fondazione degli Archi, è riuscito a portare nomi prestigiosi come Bortoli, De Giovanni, De Silva, Dondoni, Fornero, Minoli, Terranova; per la prima volta due sezioni speciali: un appuntamento notturno con musica e reading e dibattiti su temi di attualità. Spazio anche al Premio Goliarda Sapienza con un reading di Malafollia. Infine la Lupperini condurrà un talk con i cinque finalisti della LXXIII edizione del Premio Strega, nominati il 12 giugno.

Riprendiamo il nostro tour visitando Modica, "la città delle cento chiese", famosa in tutto il mondo per il cioccolato, prodotto secondo un'antica ricetta maya e tramandata di generazione in generazione. Città natale di Salvatore Quasimodo cantata nei suoi versi assieme a tutto il paesaggio siciliano e alla Grecia in un viaggio tra luoghi e memoria, tra esistenza e mito: "Anch'io non ho cercato lontano il mio canto, e il mio paesaggio non è mitologico o parnassiano: là c'è l'Anapo e l'Imera e il Platani e il Ciane con i papiri e gli eucalyptus, là Pantalica con le sue tane tombali scavate quarantacinque secoli prima di Cristo, "fitte come celle d'alveare", là Gela e Megara Iblea e Lentini: un amore, come dicevo che non può dire alla memoria di fuggire per sempre da quei luoghi".

"Sorge all'incrocio di tre valloni, con case da ogni parte su per i dirupi, una grande piazza in basso a cavallo del letto d'una fiumara, e antichi fabbricati ecclesiastici che coronano in più punti, come acropoli barocche, il semicerchio delle altitudini. (...) chi vi arriva dall'interno se la trova d'un tratto ai piedi, festosa di tetti ammucchiati, di gazze ladre e di scampanii; mentre chi vi arriva venendo dal non lontano litorale la scorge che si annida con diecimila finestre nere in seno a tutta l'altezza della montagna, tra fili serpeggianti di fumo e qua e là il bagliore d'un vetro aperto o chiuso, di colpo, contro il sole". È così che vi conquisterà Scicli, una cittadina incastonata tra le colline, come la racconta Elio Vittorini "con case per ogni parte su per i dirupi, una grande piazza in basso a cavallo del letto di una fiumara, e antichi fabbricati ecclesiastici che coronano in più punti, come acropoli barocche, il semicerchio delle altitudini." o, come la ricorda Bufalino "nell'estrema propaggine della Sicilia (da un'altura, nei giorni chiari, chi ha vista acuta può scorgere Malta; e, se soffia un certo scirocco, piombano sulle soglie a morire le locuste del Faraone); in un paese, Scicli, di palazzi biondi e grotte grige, usate fino a ieri per bivacchi e case di poveri...".

Marta Galofaro

Che barba questi Promessi sposi!

Che barba questi promessi sposi!! Ancora nel 2019 questo mattone di XXXVIII capitoli viene propinato ai poveri ragazzi del biennio della scuola superiore. Che poi, parliamoci chiaro, se Lucia si fosse concessa a Renzo, senza fare la cattolica preziosa, ci sarebbe stato bisogno di scrivere tutte queste pagine?

Eppure bisogna considerare che tutte quelle pagine sono necessarie a conseguire tutti gli obiettivi che quel megalomane del Manzoni si era proposto di raggiungere, cioè semplicemente: creare la lingua di una Nazione che ancora doveva nascere, cioè progettare un romanzo per l'Italia quando ancora non era l'Italia, ambizioso tanto da voler superare persino il padre Dante nella scelta della lingua; arrivare a tutti e dare insegnamenti, scrivere un classico scegliendo, in maniera originale per l'epoca, la prosa.

Un classico...pare facile...ma qual è la ricetta per scrivere un classico? L'unica cosa di cui era a conoscenza è che "un classico abita nei classici". "Così volle scrivere un romanzo che contenesse l'Iliade, l'Odissea, Il De rerum natura. Lucia rapita come Elena (come direbbero i Greci archè kakòn in entrambe le opere), le peripezie e i viaggi di Renzo come quelle di Ulisse, la drammatica immagine di morte della peste come nel Decameron e nel De rerum natura, "l'universale dissolvimento della vita civile".

Non solo l'ambizioso è riuscito nel suo intento, ma ha fatto molto di più e Renzo e Lucia, Gertrude e Don Abbondio, i bravi e Don Rodrigo sono famosi quanto Lionel Messi e Belen Rogriguez perché, come scrive Pasolini, "I personaggi del Manzoni sono diventati più ancora che quelli di Dante o dell'Ariosto qualcosa come i personaggi delle carte da gioco: si riconoscono per un ghirigoro codificato e fissato per sempre da regole accettate da tutti ormai involontariamente. Si parla di «Lucia», di «Don Abbondio», di «Fra Cristoforo», dell' «Innominato», come appunto, mescolando disinvoltamente un mazzo di carte. Ognuno tuttavia gerarchizza queste figure secondo le proprie opinioni e i propri gusti", come a dire di preferire Di Maio a Salvini, o viceversa, apprezzarli entrambi o non stimarli affatto. Per non parlare dei luoghi comuni linguistici che ha prodotto Manzoni con il suo romanzo: "verrà un giorno" è espressione con una connotazione vagamente vendicativa dell'uso quotidiano; "vaso di terra cotta" equivale a cuore pavido inadeguato a superare le prove della vita; "tizzone d'inferno", l'esclamazione di Agnese al cap XXIV, è divenuta il motto distintivo del Kit Carson di Tex Willer. "La sventurata rispose" esprime il dramma di una ragazza che in realtà sapeva già cosa avrebbe dovuto rispondere. Per non parlare della frase che ormai è parte del patrimonio nazionale e vive nel nostro inconscio collettivo: "questo matrimonio non s'ha da fare!".

Inoltre il romanzo di Manzoni, considerato démodé e terribilmente noioso, a saper leggere tra le righe, è un classico attualissimo. Lucia viene rapita da Don Rodrigo che vuole esercitare su di lei lo ius primae noctis,oggi le ragazze di colore sono rapite e messe in strada da trafficanti senza scrupoli. Renzo è un self made man, donna Prassede la bigotta con la presunzione di saper sempre tutto e di essere nel giusto solo perché cattolica, il cancelliere spagnolo Antonio Ferrer la persona ambigua, il cui linguaggio pubblico e quello intimo, espresso non a caso in due diverse lingue, esternano concetti completamente opposti. Perpetua il grillo parlante a cui purtroppo non si dà mai ascolto. Il Don Rodrigo dei nostri tempi sarebbe un mafioso o un bullo, i bravi i suoi picciotti o complici. Ancora oggi molti uomini, come l'Innominato o frate Cristoforo, hanno una conversione che permette loro di chiudere con un passato indignitoso e cambiare vita. I Don Abbondio e gli Azzeccagarbugli di ieri non sono diversi da quelli di oggi. E poi l'episodio di Cecilia, sicuramente tra le pagine più belle del romanzo perché l'autore raggiunge il culmine del pathos. La tragedia di una bambina di nove anni e di sua madre non è molto diversa dalla tragedia di Aylan o di uno dei tanti, troppi bimbi morti in mare tra le braccia delle loro madri. Il sentimento profondo di pietà uguale, ieri come oggi, con l'unica differenza che l'uomo di allora non aveva mezzi per fronteggiare l'epidemia. Il dramma di Lucia che deve lasciare la sua casa e il suo paese quella di tanti disgraziati che migrano per fuggire la guerra e i soprusi di gente senza scrupoli.

Quando leggiamo un romanzo non è col finale che si giunge al raggiungimento di un obiettivo perché l'obiettivo non è il lieto fine. È come in un viaggio, a volte la meta può essere una delusione, ma quello che abbiamo provato mentre cercavamo di raggiungerla è la meta stessa, cioè soffrire e gioire con i personaggi, amandoli o odiandoli, condividendone le idee e le azioni o meno, sperando che ci sia il lieto fine o il finale che vorremmo. Ed è un lieto fine che Manzoni concede al lettore: prima che finisse l'anno di matrimonio era nata Maria Tramaglino a cui seguirono altri pupi "e Renzo volle che tutti imparassero a leggere e scrivere" (messaggio didattico e pedagogico di Manzoni). Quando Renzo ai suoi figli racconta le sue peripezie e gli insegnamenti che ne ha tratto (non fidarsi di nessuno, farsi i fatti propri, evitare la folla e i tumulti) non si sofferma sulle peripezie e sofferenze della moglie e Lucia, in un impeto di femminismo ante litteram, spiega, donna moderna del '600 che essere donna richiede un'autodeterminazione più difficile: superare il ricatto sessista, ma anche superare il ricatto affettivo, come se spiegasse che indossare una minigonna, e lei tra l'altro non la indossava, non autorizza l'uomo di ieri o di oggi a fare della donna una preda. Se lei non si è concessa è perché ha voluto e lo ha fatto per una sua scelta, anche se a Renzo sembra dovuta e scontata. Se avesse ceduto si sarebbe trasformata in Gertrude, ma il punto non è perdere la verginità, ma perdere la dignità di decidere di se stessa. E il suo atto di eroismo la rende un'eroina moderna "non una sempliciotta in balìa della Provvidenza".

Ricordiamo inoltre, come scrive Fois che "il romanzo italiano comincia, in linea di principio come il Giorno della civetta di Sciascia, nel senso che, come i viaggiatori che scompaiono dall'autobus in cui è appena avvenuto un omicidio per sottrarsi al vaglio degli inquirenti, anche nel caso di Don Abbondio niente accadrebbe se egli non fuggisse alla sua responsabilità di uomo di chiesa. Questo matrimonio non s'ha da fare è il motto non ufficiale del nostro Paese". E il veggente Manzoni apre il suo romanzo, nel 1840, con una minaccia mafiosa. I promessi sposi sono la storia del nostro Paese, ancora prima che si formasse, tanto che il suo autore scrive con l' intento didascalico di creare un Popolo, quello italiano, raccontando storie non di eroi, ma di gente comune, eroina nella vita di tutti i giorni, davanti alle prove che la vita impone.

Fu vera gloria? I posteri e la storia hanno già dato sentenza: sì! Perché "ci sono romanzi che rovesciano il mondo, anzi direi che non c'è altra strada per un romanzo per diventare immortale, che rovesciare mondi, il proprio e quello altrui".

Marta Galofaro


ELETTRA DI EURIPIDE PER LA REGIA DI WALTER MANFRE'

https://www.leggeretutti.net/site/la-straordinaria-elettra-di-manfre/?fbclid=IwAR2jnI_UL0R_8PsDsiUztLnK9MsphyAxY_ElteN98bZnoAarbL6vHHU-zkU

Quale il ruolo dell'uomo nella vicenda tragica? È vittima o carnefice? I sofisti erano arrivati ad un antropocentrismo incontestabile e ad attribuire alla parola valore ontologico: "Molte sono le forma dei destini umani" è, non a caso, la conclusione di alcune tragedie di Euripide. Il personaggio davanti ad una situazione reale può reagire in infiniti modi, può possederla ma anche essere posseduto a secondo di come si mescolano eroismo e fragilità. Nell'Atene del tragediografo la lirica si sostanzia. L'orrore della guerra e il desiderio di pace, la crisi delle istituzioni e il disorientamento che ne consegue portano a sentire il fatto artistico come soddisfazione di un bisogno di evasione e di fruizione. Dopo la crisi politica che segue la guerra del Peloponneso, la Grecia si avviava ad un nuovo equilibrio politico in cui l'uomo di cultura e l'artista erano dissociati dalla vita politica e in Euripide è possibile cogliere il passaggio dall'età classica a quella ellenistica, il passaggio da una dimensione universale ad una dimensione più intima e privata.

A Comiso, nella suggestiva location della Cripta della chiesa di San Francesco all'Immacolata, un cast straordinario ha portato in scena Elettra di Euripide per la regia di Walter Manfrè.

Arianna Di Stefano e Mauro Racanati interpretano magistralmente Elettra e Oreste prigionieri, captivi del dolore e del rancore da cui, come in gabbia, non trovano vie d'uscita. La loro è una schiavitù interiore che non permette di elaborare il lutto per il padre Agamennone. Ma è proprio questa prigionia a rendere particolarmente vicina alla nostra sensibilità quest'opera.

Euripide supera la dimensione mitica per raccontare la condizione in cui vivono due figli tormentati al punto da commettere il più efferato e contro natura dei delitti: il matricidio. E il matricidio nell'Elettra di Euripide è un fatto personale. Elettra, una regina, compare nella quotidianità in cui si adatta a vivere spogliata di tutto e sposa di un contadino povero. Lo scenario tragico si è completamente dissolto per lasciare il posto a figure quotidiane e borghesi. Persino Clitennestra non è la regina sanguinaria, ma una donna che negli anni ha riflettuto ed è maturata: non gioisce più dell'antico delitto e si precipita dalla figlia non appena la manda a chiamare, disposta a perdonare la minaccia di morte che lei le rivolge. È naturale che il sentimento dei fratelli subito dopo il matricidio, non sia di soddisfazione ma di raccapriccio. Elettra convince Oreste ad uccidere "l'infame Tindaride", ma il giovane è privo di qualsiasi connotazione eroica.

Nella cripta dell'Immacolata la scenografia scelta da Manfrè è essenziale, ma concreta e simbolica al contempo: al centro della scena un cervello intorno al quale Elettra gira in maniera ossessiva: con Manfrè la moderna psicanalisi è vera protagonista dell'Elettra. All'opera di Euripide non è stata cambiata una parola e il dramma di ieri è il dramma di oggi, non a caso il prologo del Passeggero, interpretato con naturale scioltezza da Giorgio Lupano in abiti moderni, crea un'atmosfera di immediata familiarità. Il cervello al centro della scena è la chiave di tutto, Elettra ci trascina nel suo rimuginare il passato, nei suoi pensieri di morte e riuscirà a trasportarvi anche Oreste e a coinvolgerlo nel matricidio. Manfrè ha voluto "cercare di addentrarci nei flussi di natura psicoanalitica intercorrenti all'interno dei personaggi del Mito e fra essi e l'uomo dei nostri giorni". Così "le vicende di Elettra, Oreste e Clitennestra passano in secondo piano e sembrano diventare sfondo rispetto alla necessità di autodistruzione, che anima i nostri nuclei familiari contemporanei. Forse anche se Clitennestra non avesse ucciso Agamennone e Agamennone non avesse ucciso Ifigenia, forse anche in quel caso Elettra anelerebbe al sangue della madre. Come vi anelerebbe anche Oreste, pur se non fosse comandato dal dio".

                   Marta Galofaro

Amori diversi (da Catullo a Prevert)

https://www.leggeretutti.net/site/amori-diversi-da-catullo-a-prevert/

Quante poesie ruotano attorno all'amore, quello vero, vissuto, con gioia o con sofferenza, con serenità o tormento? I versi raccontano passioni.

Kahlil Gibran crede sul serio all'amore. Per lui è un sentimento disinteressato ed incondizionato, non conosce limiti, non è critico: si dà senza chiedere nulla in cambio.

L'amore non dà nulla fuorché sé stessoe non coglie nulla se non da sé stesso.L'amore non possiede,né vorrebbe essere possedutopoiché l'amore basta all'amore.

Qualcuna sostiene che i diamanti siano i migliori amici delle donne. Forse, ma non tutte la pensano così, Alda Merini, per esempio, vorrebbe vivere solo d'amore e poesia; nelle sue parole ciascuna può identificarsi perché lei sa quello che le donne pensano e provano.

Io non ho bisogno di denaro.Ho bisogno di sentimenti,di parole, di parole scelte sapientemente[...]

Luciano Erba, invece vive quella fase di incertezza che segue la scoperta di un sentimento e ne precede la rivelazione all'amata. Come andrà a finire?

Sei una donnache oggi tiene un naufrago impazientedimmi tusei scoglioo continente?

Chi non ha mai sperato che il foedus amoris fosse aeternum, ma è pronto ad accontentarsi e godere di un solo giorno di fedeltà?

Viviamo, mia Lesbia, e amiamoe i mormorii dei vecchi moralistitutti stimiamoli un soldo.I giorni possono finire e ritornare,ma quando muore il nostro breve giorno,dobbiamo dormire una sola interminabile notte

Catullo vive tradimenti ed effimere riconciliazioni, nuove delusioni che fanno venir meno il bene velle e poi persino l'amor, prima antinomi. In lui il dramma dell'amore diventa coincidentia oppositorum nel proverbiale Odi et amo.

Ma l'amore è anche passione, Lesbia docet, quindi a che scopo conservarsi e perdersi il piacere del sesso? Se lo è chiesto anche Asclepiade.

Risparmi la tua verginità. A che scopo? Non è scendendoal regno dei morti che troverai chi ti ama.Il piacere d'amore sta solo tra i vivi; nell'Acheronte,ragazza mia, giaceremo tutti, ossa e cenere.

E che dire di Orazio? Insegue la sua ragazza che gli sfugge. La madre le ha suggerito di non concedersi facilmente agli uomini. Lui la invita a lasciarsi andare: carpe diem, quam minum credula postero!

[...]Ma io non ti inseguo per sbranarticome un leone africano o una tigre spietata.Dimentica tua madre:è l'età dell'amore.

Giorgio Caproni si sveglia, guarda il mare e pensa a lei. Cosa c'è di più romantico di un poeta innamorato?

Sei donna di marine,donna che apre riviere.L'aria delle mattinebianche è la tua ariadi sale - e sono veleal vento, sono bandierespiegate a bordo l'ampievesti tue così chiare.Pablo Neruda vive nel suo intimo la passione, un sentimento misterioso, oscuro eppure presente e vivo.[...]t'amo come si amano certe cose oscure,segretamente, tra l'ombra e l'anima.

Jacques Prevert ammira il volto dell'amata, poi scende ai particolari, la sua bocca, i suoi occhi. Ora sono impressi nella sua memoria e ora che può stringerla al buio tra le braccia la vede come se ci fosse la luce

Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notteIl primo per vederti tutto il visoIl secondo per vederti gli occhil'ultimo per vedere la tua boccae tutto il buio per ricordarmi queste cosementre ti stringo fra le braccia.

Karinprova quel tormento indescrivibile che prova chi ama e non possiede ancora l'amata.

[...]Cosa so della tua pelle e delle tue membra.Mi scuoter soltanto che sono tue,così per me non c'è né sonno né riposofinché non saranno mie[...]

Per Alì Ahmad Sai'id Esber è finito un amore, la casa è vuota, persino i ricordi insieme sembrano averla abbandonata. Di lei non è rimasta traccia, se non nel cuore che non si rassegna.

Apro la porta - entra aria che visita i dipinti appesi,accarezza i muri. D'improvviso, sbadiglia,va a spalle basse il nostro amore non era làI suoi fantasmi hanno portato via tutto ciò che ho dipintosul letto e sui cuscini,sulla maniglia della porta sulla sua serratura e sono scomparsi.[...]

Anche Eugenio Montale è perso nei ricordi di un amore lontano nel tempo e nello spazio. È certo che lei non conserva più il ricordo del luogo dove si incontravano per vivere il loro amore.

Tu non ricordi la casa dei doganierisul rialzo a strapiombo sulla scogliera:desolata t'attende dalla serain cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensierie vi sostò irrequieto.

Il tempo passa inesorabile e segna i volti di rughe. Ma sul viso della persona cara gli anni che passano fanno a tutti un effetto diverso, anche ad Attilio Bertolucci

Come pesa la neve su questi ramicome pesano gli anni sulle spalle che ami.[...]

Una vita insieme a lei, insostituibile sostegno e guida. Eugenio Montale ora è solo ad affrontare gli ultimi anni rimasti.

[...]Ho sceso milioni di scale dandoti il braccionon già perché con quattr'occhi forse si vede di più.Con te le ho scese perché sapevo che di noi duele sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,erano le tue.

La magia dell'amore è che quando questo sentimento è vero e puro ci si innamora sempre e ancora della stessa persona e Jacques Prevert si è scoperto ancora una volta innamorato di una donna su un tram.

[...]Seduta e sola pareva sorridereE subito mi piacque moltissimoMa subitoM'accorsi che era mia moglieNe fui felice.

E la lontananza è tormento, sofferenza, interminabile attesa per chi si ama. I minuti sembrano ore, le ore minuti, i minuti giorni, i giorni mesi... Emily Dickinson ne è tormentata.

[...]Ora ignoro l'ampiezzaDel tempo che intercorre a separarci,E mi tortura come un'ape fantasmaChe non vuole mostrare il pungiglione.

Chi ama sa andare oltre l'aspetto, oltre le apparenze e guardare dentro, arrivare dove altri non arrivano. La vita che può essere veramente crudele e spietata nell'amore trova sempre un' opportunità, un risarcimento. Gesualdo Bufalino lo sa.

La vita non sempre fa male,può stracciarti le vele, rubarti il timone,ammazzarti i compagni a uno a uno,giocare ai quattro venti con la tua zattera,salarti, seccarti il cuorecome la magra galletta che ti rimane,per regalarti nell'oradell'ultimo naufragiosulle tue vergogne di vecchioi grandi occhi, il radiosoinnamorato stuporedi Nausicaa.

Marta Galofaro


Il poeta innamorato

https://www.infodem.it/teatrino.asp?idn=1399

Si desta il poeta e, mentre sbadiglia ancora assonnato e si stiracchia, guarda dalla finestra e osserva tutta Roma: la città si sta svegliando e il tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio svetta con le sue imponenti colonne corinzie arrivate dalla lontana Grecia. Ora che il sole sorge il frontone e le sue statue si accendono di luce, così come ha voluto Silla. Ma lui è a Venere che si sente oltremodo devoto. È lei che ha acceso la passione per quella donna, rendendolo un uomo felice. Ma si rivolge a tutti i suoi dei per non perderla:

"Lieto, ed eterno, anima mia,

mi prometti che sarà questo nostro amore.
Dei grandi, fate che prometta veramente
e lo dica sinceramente, col cuore.
Ci sia concesso far durare tutta la vita
questo inviolabile patto d'amore."

Ora con la mente torna alla loro ultima notte di passione. Rivede l'immagine di lei nella stanza illuminata solo dalla blanda luce di una piccola fiaccola. Lei sul triclinio, vestita solo di veli, pigramente stacca i chicchi da un grappolo d'uva e li porta alle labbra carnose. Lo aspetta, lui entra furtivo, l'abbraccia cingendole la vita e le sussurra:

"Viviamo, mia Lesbia, e amiamo,
e le chiacchere dei vecchi severi
tutte quante stimiamole un soldo.
I soli possono tramontare e nascere;
noi, quando questa breve luce finirà per sempre,
dobbiamo dormire una sola eterna notte.

Dammi mille baci, poi cento,
poi ancora mille, poi cento,
poi altri mille, quindi di nuovo cento;
poi, quando ce ne saremo dati molte migliaia,
li confonderemo, per non sapere (quanti sono)
o perché nessun malvagio ci possa invidiare,
sapendo che ci siamo dati tanti baci."

All'alba lascia la casa. Mentre attraversa la strada, guarda dalla finestra della casa accanto: un uomo sta offrendo ai suoi Lari vino e cibo. Si avvia verso il centro. Adesso una nuova, lunga giornata lo separa da lei. Tutti nella città parlano di politica, ma a lui non interessa affatto. Per lui i governatori sono tutti corrotti e li insulta pure, non importa di che schieramento siano. Cesare poi... buono quello!

"Non mi preoccupo affatto, Cesare, di volerti piacere,

né di sapere se sei bianco o nero."

Per non parlare di quel bell'imbusto saccente, l'avvocatone maestro di oratoria.

"Marco Tullio, il più eloquente

tra i discendenti di Romolo,

di quanti sono, quanti furono

e quanti saranno in altri tempi,

ti ringrazia moltissimo Catullo,

il peggiore poeta tra tutti,

tanto il peggiore tra tutti i poeti

di quanto tu il migliore avvocato tra tutti."

Adesso Catullo vaga senza meta nel Foro di Cesare, volge lo sguardo al tempio di Venere, poi si gira ed in una popina intravede un vecchio amico, Fabullo. Anche Fabullo da dentro lo vede e lo invita a far colazione con lui. I due chiacchierano piacevolmente sorseggiando vino caldo e gustando focacce con il miele. Fabullo paga la consumazione e dice, scherzando, all'amico che magari per ricambiare qualche volta potrà invitarlo a cena. Catullo, in tutta sincerità, confessa di trovarsi economicamente in cattive acque, ma per la cena insieme ha una soluzione:

"Cenerai bene, mio Fabullo, da me
fra pochi giorni, se gli dei ti assisteranno,

ma con te porta una cena abbondante
e squisita, una ragazza in fiore,
vino, sale e tante risate.
Solo così, ti confesso, vecchio mio,
cenerai bene, perché il tuo Catullo
ha la borsa piena di ragnatele.
Ma in cambio avrai un affetto sincero
e tutto ciò che è bello e raffinato:
ti darò un profumo che Venere e Amore
donarono alla mia donna
Quando l'odorerai, prega che gli dei,
Fabullo, di facciano tutto naso".

Scende la sera e il lungo Tevere si spopola. Le ante di legno delle finestre delle insule, si chiudono e le voci squillanti ora si sentono soffuse e lontane. Le acque del fiume diventano nere, solo la luna in cielo indica che è l'ora tanto attesa. Lei è sola, lo aspetta. Trascorrono una lunga notte d'amore. Lesbia, baciandolo sulla schiena nuda, gli chiede pigramente, quasi con distacco, se i baci che gli dà gli bastino. Ma lui di lei non è mai sazio:

"Mi chiedi, Lesbia, quanti tuoi baci
bastino per saziarmi.
Quanti sono i granelli del deserto della Libia

che giace intorno a Cirene fertile di silfio,
tra l'oracolo torrido di Giove
e il sacro sepolcro di Batto;
o quante stelle, quando la notte tace,

spiano gli amori furtivi degli uomini:
questo è il numero di baci
che vuole l'insaziabile Catullo,
tanti che i curiosi non possano contarli
né una lingua maligna fare i malocchio."

Lesbia questa notte è diversa...fa l'amore, ma sembra altrove: Catullo possiede il suo corpo, ma non riesce a raggiungere la sua anima e il suo cuore. Lo avverte, ma preferisce scacciare il pensiero che si è insidiato nella sula mente. Va così anche nelle notti successive, e quel pensiero è ora un tarlo che lo lacera. Lesbia sembra respingerlo, evitarlo, spesso dice di avere mal di testa e di voler stare da sola, lo manda via. Sono passati cinque anni da quando la frequenta e Catullo si chiede se si sia stancata di lui.

"Dice la mia donna che con nessuno farebbe l'amore,
non mi sostituirebbe neppure con Giove!

Dice. Ma ciò che dice una donna a un amante

Conviene scriverlo nel vento, sull'acqua che scorre!"

Nessuna è stata importante per lui come Lesbia. Dentro il loro rapporto ha messo tutto se stesso. Se non fosse già stata sposata l'avrebbe pure condotta con sé in matrimonio. E questo non lo aveva pensato per nessuna fino a quel momento. Lo ammette, è piuttosto geloso e possessivo e l'idea di lei con un altro che non sia il marito, che da anni non la soddisfa, lo fa impazzire. Di lei non riesce a sopportare la scarsa sincerità, l'ipocrisia, l'indifferenza.

"A tal punto, Lesbia mia, la mia mente è sconvolta per colpa tua

Si è rovinata da sola a causa della sua fedeltà,

così da non poterti volere bene anche se diventassi la migliore,

né smettere di amarti, qualunque cosa tu faccia."

Passano i giorni e non si incontrano più. Al rimpianto di un passato insieme ormai perduto per sempre e lontano si accompagna la consapevolezza che l'unica soluzione, per quanto dolorosa, sia il distacco.

"Povero Catullo, smetti di vaneggiare,
e quello che vedi perduto, consideralo perduto.
Brillarono un tempo per te giorni luminosi,
quando andavi dovunque ti conduceva lei,
amata quanto non sarà amata mai nessuna.
Lì allora si facevano quei tanti giochi d'amore,
che tu volevi e a cui lei non si negava.
Brillarono davvero per te un tempo giorno luminosi.
Ora lei non vuole più. Anche tu non volere, benché incapace di dominarti.
Non correre dietro a chi fugge, e non essere infelice,
ma con cuore risoluto resisti, non cedere.
Addio, fanciulla, ormai Catullo resiste,
non ti verrà a cercare, non pregherà più te che non vuoi;
ma tu ti dorrai se non sarai cercata.
Sciagurata, povera te! Che vita ti aspetta?
Chi verrà da te ora? Chi ti vedrà bella?
Chi amerai ? Di chi dirai di essere?
Chi bacerai? A chi morderai le labbra?
Ma tu , Catullo, resisti, non cedere.

Ma lei lo cerca ancora e Catullo cede. Tradimenti ed effimere riconciliazioni scandiscono il battito del cuore del poeta. Le delusioni si sommano alle delusioni, l'affetto viene a poco a poco meno, ma la passione è incontenibile, il desiderio di lei aumenta in maniera inversamente proporzionale al diminuire dell'affetto.

"Dicevi un tempo di conoscere solo Catullo,

Lesbia, e di non volermi sostituire a Giove.

Ti amai allora, non tanto come la gente comune un'amica,

ma come un padre ama i figli e i generi.

Ora ti conosco: ed anche se brucio più forte, tu sei molto più vile, più trascurabile.

Mi chiedi come possa accadere? È che una tale ingiustizia

costringe l'amante ad amare di più, ma a volere meno bene."

Così cerca consolazione fra le braccia di altre donne. Sesso, solo sesso, una buona distrazione per dimenticare Lesbia:

"Ti amerò, mia dolce Ipsitilla,

mia delizia, mio tesoro,

ordinamelo e verrò da te nel pomeriggio.

E se me lo ordinerai, aiutami,

non chiudermi i tuoi battenti, non uscire,

ma resta a casa pronta a scopare nove volte di fila.

Se hai voglia dillo subito,

sono già qua sdraiato dopo pranzo, sazio e supino

che sfondo tunica e mantello.

Tutto va bene pur di dimenticare Lesbia. Lesbia... ma nessuna può essere a lei paragonata per bellezza:

"Per molti Quinzia è bella, per me

bianca, alta, slanciata. Questi pregi li riconosco,
ma non ha nessuna bellezza,

né un pizzico di sale in quel corpo superbo.
Lesbia è bella, bellissima tutta fra tutte
a ognuna ha rubato ogni possibile bellezza."

Catullo la ama ancora. E la odia allo stesso tempo. Egli è preda e vittima di una scissione irreparabile, e con incredulità e dolore non gli resta che prenderne atto:

"Odio e amo. Come è possibile?
Non so, ma sento che accade e ne soffro."

Nel suo cuore una sola, amara verità:

"Nessuna donna potrà dire 'sono stata amata'
più di quanto ti ho amato, Lesbia mia.
Nessun legame avrà mai quella fedeltà
che nel mio amore ti ho portato."

Marta Galofaro

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di Marta Galofaro

Le regole per la convivenza e la diversità

Il rispetto della diversità, la tolleranza, uno dei concetti chiave dell'Illuminismo, è ancora oggi in discussione. Tollerare significa sopportare, ma sopportare può significare sottomettersi se si accetta qualcosa che danneggia. Quella che originariamente può sembrare la base della convivenza pacifica fra confessioni diverse ha acquisito nuovi confini e spostato la questione verso sempre più complessi problemi di definizione di regole per consentire la convivenza delle diversità. Riflettendo su questo tema di straordinaria attualità mi è tornato in mente un libro che ho letto molti anni fa: Gandhi parla di Gesù (E.M.I. della Coop. SERMIS, Bologna 1989).

Pur non essendo cristiano Gandhi imparò molto da Gesù di Nazareth. Era affascinato dalle Beatitudini in cui Gesù presenta un regno nuovo in cui trovano riscatto gli esclusi: gli umili, i poveri, le prostitute, i pubblicani. Le gerarchie sono rovesciate: si tratta di credere che la vittima sia meglio del carnefice. Per le vittime Dio c'è e interviene in loro favore nella concretezza della situazione. "Quando arrivai al Nuovo Testamento ed al Discorso della montagna,-scrive Gandhi- incominciai a capire l'insegnamento cristiano. [...]. Di tutto quanto lessi, ciò che rimase fisso in me fu il fatto che Gesù fosse arrivato quasi a dettare una nuova legge: non occhio per occhio, dente per dente, ma il prepararsi a ricevere due colpi quando se ne è ricevuto uno e a fare due miglia quando ne è stato richiesto uno solo". Da Cristo il Mahatma imparò il messaggio della non-violenza e della non-ritorsione. Il suo frequente riferirsi a Gesù e al Vangelo, la sua vita austera, la sua pratica della non violenza lo fanno un vero seguace di Cristo, pur non essendosi mai convertito. Egli non crede a Dio come unigenito figlio di Dio:"Considero Gesù come un grande maestro dell'umanità, ma non lo considero come il Figlio unigenito di Dio. La definizione, nella sua accezione materiale, è inaccettabile metaforicamente, siamo tutti figli di Dio"; "L'aggettivo generato-scrive ancora- ha per me un significato più profondo e probabilmente più sublime del suo senso letterale. Per me, esso implica una nascita spirituale". Le sue parole dimostrano che ha colto il più profondo insegnamento di Gesù ma non si è mai convertito perché in Europa nel nome di Gesù sono state compiute le più atroci stragi. "Guardando però a tutta la storia in questa luce, mi sembra che il cristianesimo debba ancora essere vissuto, a meno che non si dica che dove c'è amore senza limiti e senza alcuna idea di ritorsione, là c'è il cristianesimo". "Ma oggi come oggi mi ribello al cristianesimo ufficiale perché sono convinto che abbia distorto il messaggio di Gesù".

Gandhi arriva alla conclusione che non c'è niente nella Bibbia che non ci sia anche nel Corano o nei testi sacri induisti. Per cui essere un buon induista significa essere anche un buon cristiano. È questo forse il suo più grande insegnamento, anche perché include tutti gli altri.

"Ciascuno ha ragione dal suo punto di vista, ma non è impossibile che nessuno abbia torto. Di qui la necessità della tolleranza, che non significa indifferenza verso la propria fede, ma un amore più intelligente e puro. La tolleranza ci permette le penetrazione spirituale, che è lontana dal fanatismo come il Polo Nord dal Polo Sud. La vera conoscenza della religione fa cadere le barriere tra fede e fede. La tolleranza per le altre fedi ci permette una più giusta comprensione della nostra".

Chi legge il nuovo testamento si mette in cammino, percorre le strade che ha percorso Gesù, nascendo, crescendo, morendo con Lui e, infine, resuscitando con Lui. Il cammino compiuto dal figlio di Dio dalla sua nascita alla sua resurrezione è il cammino che ogni uomo deve compiere. Ognuno di noi deve risorgere nella ricerca del divino che è dentro. M. Buber ne Il cammino dell'uomo (Edizioni QIQAJON 1990, Magnano) indica proprio il percorso che si deve compiere per trovare se stessi e Dio e per rispondere, perché è questo che un giorno ci verrà chiesto, se siamo stati noi stessi, dopo aver trovato la nostra strada; potrebbe essere anche la più buia e la più tortuosa, ma è la nostra e non va cercata dove è più facile ma dove si sa di poter trovare. Nel percorso di ogni vita bisogna prima trovare se stessi, evitando di prendersi come fine o di sbirciare dentro gli altri. "Il ritorno decisivo a se stessi è nella vita dell'uomo l'inizio del cammino, il sempre nuovo inizio del cammino umano". Appropriata la metafora del gioco della dama. L'uomo è una pedina che fa parte del grande gioco della vita ed esclusivamente dopo aver guardato solo in avanti ed aver raggiunto il limite della scacchiera-vita diventa "dama" e può muoversi in tutte le direzioni che vuole. Per Buber "Dio abita dove lo si lascia entrare" perché "l'universalità di Dio consiste nella molteplicità infinita dei cammini che conducono a lui, ciascuno dei quali è riservato a un uomo". Come scriveva Gregorio Magno "Scriptura sacra mentis oculis quasi quoddam in seculum opponitur ut interna nostra facies in ipsa intuatur".

Marta Galofaro

Le tele di Mario Amico sono i suoi occhi, sono la sua anima filtrata dai colori. Poche pennellate di colori per la maggior parte vivaci e che non sempre coprono tutta la tela esprimono il suo essere. Particolarmente dotato per il disegno sin da ragazzo Amico, non ha coltivato la sua passione quando svolgeva la sua vita di padre, marito,...

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